“Si chiama incontro ravvicinato del primo tipo un avvistamento di un oggetto volante non identificabile, del secondo tipo quando un UFO ha qualche effetto sul terreno o sulle persone, mentre il terzo tipo è il contatto diretto tra due specie. Il mio nuovo film comunica la sensazione che non siamo preparati per le cose che non capiamo e di cui abbiamo paura, che dobbiamo vincere combattendo contro l’ignoto. È un film sui cambiamenti, che parla di un uomo normale che cambia, diventando una persona diversa”.
Queste le parole di Steven Spielberg in un’intervista del 1976 su “Close Encounters of the Third Kind”, uscito l’anno seguente, unico film di cui fu responsabile sia del soggetto che della sceneggiatura. Reduce dal successo di Jaws (1975), l’ancora giovane cineasta decise di passare dal mare al cielo, narrando la storia di Roy Neary (Richard Dreyfuss), addetto alle linee elettriche di una piccola città e padre di famiglia, che viene chiamato d’urgenza per risolvere un blackout, e mentre è alla guida del suo pick-up ha un incontro del secondo tipo. Nel frattempo, una serie di strani fenomeni a livello mondiale porta gli esperti della NASA, guidati dallo scienziato francese Claude Lacombe (Françoise Truffaut), a localizzare il punto di contatto con gli extraterrestri. Nonostante tutti gli espedienti per tenere lontani i civili, alcune persone, tra cui Roy stesso e la casalinga Jillian (Melinda Dillon), sapranno raggiungere il posto, guidati da una forza più grande di loro.
Incontri ravvicinati del terzo tipo è stato parzialmente ispirato a un’esperienza vissuta da Spielberg durante l’infanzia, quando suo padre lo svegliò nel mezzo della notte, lo fece salire in macchina e guidò fino ad un campo dove erano riunite molte persone.
“Lì mio padre distese un telo da picnic e ci sedemmo sopra, guardando il cielo. C’era una spettacolare pioggia di meteoriti, ricordo che ogni 15-20 secondi una luce attraversava il cielo. Penso sia stata questa la mia prima introduzione allo spazio, che mi ha trasmesso la voglia di raccontare storie su altri mondi”.
Viaggio fantasioso e pieno di meraviglie, grandiosa esperienza visiva e uditiva, il film rappresenta ancora oggi un caposaldo del genere fantascientifico, anche per la sua rivoluzionaria rappresentazione degli alieni non come nemici e conquistatori dell’umanità, ma come esseri benevoli e pacifici con la volontà di comunicare con la razza umana.
Omaggio ai sognatori e ai visionari di ogni tempo, esaltazione dell’innocenza infantile, fu all’epoca un barlume di speranza in un’America depressa, da poco uscita distrutta dal conflitto in Vietnam.
Nel 1998 Spielberg realizzò il suo Director’s Cut, selezionando il meglio delle precedenti edizioni (l’originale del 1977 e un’edizione speciale nel 1980) e realizzando la versione forse più riuscita, eliminando le scene girate all’interno dell’astronave presenti nell’edizione speciale, che privavano il film di molta della sua magia.