A cura di A. Wilk ed E. Del Medico
Doppia intervista esclusiva a Fabio D’Orta (regia, scenografia, fotografia, montaggio, effetti visivi, costumi) e a Mariangela Bombardieri (scenografia, costumi) in merito al loro “The Complex Forms” (Italia, 2023), primo lavoro della casa di produzione indipendente Metronic Films e pellicola che si è aggiudicata il “premio del pubblico” alla quarta edizione di EXTRA sci-fi festival Verona. Un’opera affascinante e visionaria «dove la sobrietà e l’austerità proprie dell’unità di spazio convivono con la meraviglia e con il fantastico provenienti da un altrove, che è sempre stato lì, oltre la soglia del nostro percepito». The Complex Forms non ha conquistato solo il pubblico veronese, a giudicare dalla lunga lista di premi e menzioni ricevuti in giro per il mondo (sarebbe troppo lungo qui l’elenco dei festival a Torino, Roma, Trieste, Porto, Hannover, Clermont-Ferrand, Londra, Portland, Los Angeles, Città del Messico, Sydney…). Un promettente esordio che ha insomma lasciato il segno un po’ ovunque: a noi non resta che rimanere in trepidante attesa, augurandoci di sentir parlare presto di nuove, perturbanti forme dell’orrore.
Fabio, The Complex Forms è il tuo primo film, anche se precedentemente hai lavorato nel campo della scenografia e degli effetti speciali. Puoi parlarci un po’ della tua esperienza professionale e del tipo di progetti su cui hai lavorato in passato?
Fabio D’Orta: Sono interessato all’arte in generale; questo mi ha portato a sperimentare diverse realtà, come la scenografia, l’illustrazione, la scultura e la stop motion. Ho sempre cercato di accumulare esperienze che avrei poi utilizzato nel cinema. La ricerca sulla scenografia, ad esempio, che mi ha portato a lavorare in teatro e in spot pubblicitari, è nata dal lavoro che mi appassionava in quel periodo, ossia la stop motion. Volevo sperimentare tecniche, decori e altro che avrei utilizzato nei miei filmati in animazione su pellicola. Quando ho visto i risultati raggiunti dalla tecnologia nel campo degli effetti speciali digitali, mi sono immediatamente interessato, ma sempre per raggiungere un realismo materico che mi permettesse di essere libero di creare ciò che avevo in mente. In realtà, a parte pochi casi, ho sempre realizzato gli effetti speciali solo per i miei lavori personali.
Girare un film è sempre stata la tua principale ambizione?
FD: È sempre stato il fine ultimo di ogni mia ricerca artistica. Nonostante i molti interessi e contaminazioni che mi affascinano, il cinema è sempre stato l’obiettivo finale, il punto di arrivo in cui tutte le esperienze e le tecniche che ho esplorato nel corso degli anni si uniscono e trovano il loro significato. Ogni ricerca mi ha spinto verso quella direzione, anche perché è l’unico luogo in cui riesco a utilizzare tutti i mezzi che mi interessano senza dover scegliere.
Mariangela, hai lavorato alla scenografia e ai costumi di The Complex Forms, qual è la tua storia creativa e professionale?
Mariangela Bombardieri: Ho sempre amato l’arte in tutte le sue forme. Ho studiato Scenografia all’Accademia di Belle Arti di Brera, dove ho conosciuto Fabio. Durante gli anni dell’accademia mi sono avvicinata prima al mondo della performance, poi a quello delle installazioni. Ho cominciato a fare le prime mostre e nel frattempo è iniziata la collaborazione con Fabio, prima nella scrittura di una sceneggiatura poi con la realizzazione di The Complex Forms.
L’estetica di questo film, in particolare per quanto riguarda l’aspetto delle creature, sembra far riferimento anche a un certo stile barocco e alla decadenza di luoghi ed ex voto cattolici – un fascino presente anche nelle opere di Mariangela come Spiritus e Lo scapolare. Ci potete parlare dei vostri riferimenti estetici e in che cosa li trovati affascinanti?
FD: Con Mariangela condividiamo la passione per il mondo del sacro e per le decorazioni di ogni religione. Siamo entrambi affascinati, credo, dal potere suggestivo dei manufatti spirituali e dalla loro solennità. Il primo input nella realizzazione delle creature è nato dall’osservazione degli altari nelle chiese cristiane. Mi era rimasta in mente l’immagine mentale di una serie di altari in movimento. Successivamente, mi sono appassionato a delle foto di camion provenienti da alcune regioni del Sud del mondo, che vengono meticolosamente ricoperti di ogni genere di decoro o piastra luccicante, creando un effetto regale. Ho iniziato a disegnare le creature seguendo questi input, finendo per aggiungere elementi del mondo crostaceo e del corpo umano.
MB: Sicuramente ci accomunano la passione per i riti sacri e non, di qualsiasi religione o paese, amiamo molto i musei di anatomia e le wunderkammer, abbiamo libri e oggetti legati a queste tradizioni. Le creature nascono da diversi disegni fatti a mano da Fabio che, col tempo, hanno preso forma in 3D e sono diventati esseri animati. Io personalmente amo le tradizioni locali come manifestazione di messaggi e richieste, trovo questi riti affascinanti sia per gli abiti, gli oggetti e i tempi che li compongono sia per l’idea di conservazione e lascito ai posteri di questi momenti di vita comunitaria. Ovviamente questa passione la riverso anche nella mia ricerca artistica, dove tradizione e tecnologia si completano. Spiritus è un dispositivo che fa parte di ARA, una serie di dispositivi tattici militari per la protezione della parte più immateriale del corpo umano, in questo caso il soffio, il sospiro o il respiro. Nello Scapolare invece mi piaceva l’idea di prendere un indumento tipico della tradizione monastica e trasformarlo in un oggetto vibrazionale curativo. Paramenti sacri, ricami, chiese e musei anatomici sono sicuramente riferimenti che alimentano la mia ricerca.
La location del film è la suggestiva Villa Mazzotti, a Chiari (BS). Perché avete scelto proprio questo palazzo e quanto ha influito la sua architettura sulle vostre scelte artistiche?
FD: In realtà avevo trovato quella location per un altro film che alla fine non ho realizzato, ma mi era rimasta la voglia di raccontare qualcosa in quel luogo. Nonostante il progetto iniziale non si sia concretizzato, l’atmosfera e la storia che potevo immaginare in quel posto mi hanno sempre affascinato. La sua architettura elegante ma decadente ha sicuramente influito sull’atmosfera generale del film, aggiungendo una dimensione quasi surreale che si è sposata perfettamente con la narrazione che avevo in mente. Quindi ho deciso di riprenderla e darle vita in questo nuovo progetto.
In quanto vostro primo film, potete raccontarci un po’ delle sfide che avete dovuto affrontare durante la realizzazione?
MB: La prima sfida era quella di nascondere il più possibile la mancanza di mezzi sia economici che di produzione. Abbiamo cercato di ottenere il meglio con quello che avevamo. Eravamo in 3 sul set ed ognuno faceva quello che serviva. Sicuramente è stato fondamentale che Fabio, si sia preparato molto in fase di pre-produzione, sapendo esattamente cosa voleva ottenere e cosa doveva fare ogni giorno prevendendo il più possibile, problemi e situazioni che avrebbero potuto pregiudicare le riprese. L’atteggiamento di Fabio è stato ovviamente fondamentale, ha ascoltato tutti e ci ha guidati per aiutarlo ad ottenere il suo obiettivo. La magia poi è stata quella data dalle persone che ci hanno sostenuto, dai nostri attori in primis, fino ad arrivare a chiunque abbia dato il suo piccolo contributo prestandoci arredi o aiutandoci nel trasporto di materiali. Sappiamo che anche se non è un film perfetto, era necessario farlo per mostrare la visione di Fabio e soprattutto dimostrare che non servono milioni per girare ma idee e talento.
The Complex Forms parla di possesso e possessione, poiché gli uomini che entrano nella villa scelgono, dopo aver firmato un contratto, di venire posseduti da entità misteriose per un certo periodo di tempo. È interessante notare che tutti i partecipanti siano uomini di età simile, che partecipano a un atto di solito più strettamente associato alle donne: lo scambio del proprio corpo per denaro. È ipotizzabile quindi un sottotesto inerente alla mascolinità, in particolare relativo all’uomo che si trova nella seconda metà della propria vita?
FD: Gli uomini anziani sono spesso fragili, sia fisicamente che psicologicamente, e il film esplora proprio questo tema. L’idea di un uomo che arriva alla seconda metà della vita e si trova a fare i conti con la propria identità e la propria vulnerabilità è centrale. Il possesso, in questo caso, non è solo un atto fisico, ma anche un passaggio emotivo e psicologico, un confronto con l’inevitabile declino che arriva con l’età. Il fatto che nel film ci siano solo uomini è, in parte, anche dovuto al supporto che abbiamo ricevuto durante il progetto. Siamo stati aiutati da gruppi come gli Alpini e altre associazioni composte esclusivamente da uomini, che ci hanno dato una mano con grande generosità e affetto. Questa realtà ha influenzato non solo la parte pratica della realizzazione del film, ma anche la sua stessa composizione: l’idea di un gruppo di uomini che si confrontano con temi di fragilità e vulnerabilità è stata resa ancor più intensa e significativa dal fatto che la comunità che ci ha supportato fosse composta solo da uomini.
Il film è stato definito un “horror metafisico”, la villa del film è un luogo di limbo in cui il tempo scorre in modo diverso e il mediatore degli accordi di possessione è una sorta di sacerdote. Oltre ai riferimenti a una certa iconografia cattolica, c’è anche qualcos’altro di allegorico che rimanda alla religione?
FD: Sì, la definizione di “horror metafisico” mi sembra azzeccata, perché il film si muove proprio su quella linea sottile tra il tangibile e l’intangibile, tra ciò che è fisico e ciò che è spirituale. La villa, come hai detto, è un limbo, un non-luogo dove il tempo si distorce. Questo crea un’atmosfera sospesa, quasi sacrale, che richiama a una sorta di purgatorio, dove le anime o meglio, i corpi sono in attesa di una trasformazione. Il mediatore, che è una figura sacerdotale, fa da intermediario tra i corpi e le entità. Ma oltre ai riferimenti evidenti all’iconografia cattolica, c’è anche un’allegoria più profonda che tocca il concetto di “possessione” come una metafora della fede stessa. L’atto di cedere una parte di sé in cambio di qualcosa (che sia salvezza, redenzione, soldi o potere) è un tema che può essere esteso alla religione, dove spesso l’individuo si offre in sacrificio, con la speranza di ottenere una qualche forma di rivelazione o liberazione. In questo senso, il film esplora la religione non tanto come credo, ma come atto di abbandono e sottomissione alla volontà di qualcosa di più grande. La villa e il mediatore diventano così simboli di un processo di trasformazione che, pur nella sua oscurità, si pone come una sorta di ricerca di significato, in cui ogni personaggio è costretto a confrontarsi con le proprie paure più intime e le proprie vulnerabilità.
La musica è stata composta appositamente da Riccardo Amorese. Potete parlarci della vostra collaborazione?
FD: Era da anni che io e Riccardo Amorese volevamo collaborare. La sua musica ha avuto un ruolo fondamentale nel creare l’atmosfera unica del film. Riccardo è un professionista con un talento straordinario, che ha lavorato a numerosi film e a molti altri progetti, portando sempre la sua sensibilità unica. La sua capacità di tradurre emozioni in suoni ha aggiunto una dimensione profonda e suggestiva alla storia. È stato un vero piacere lavorare con lui, e il risultato finale dimostra quanto la sua esperienza e la sua arte abbiano reso speciale l’intero progetto.
Esistono film o registi italiani che potremmo definire vostra fonte d’ispirazione?
FD: Adoro il cinema italiano classico, quello di registi come Fellini, Antonioni, Ermanno Olmi, per citarne alcuni. Allo stesso modo, sono attratto dagli sperimentatori del genere, come Mario Bava, Lucio Fulci e Dario Argento. Tuttavia, l’unica vera ispirazione italiana legata a questo film è forse quella del film Todo Modo di Elio Petri, soprattutto per la figura degli uomini dai lunghi cappotti scuri rinchiusi in un ambiente quasi monastico. Non è stata un’influenza diretta, ma con il tempo ho trovato dei paralleli interessanti. L’idea di uomini che si confrontano con le loro contraddizioni in un luogo che sembra sospeso tra sacro e profano mi ha evocato un’atmosfera simile a quella che ho voluto esplorare nel nostro film. Ma in generale, l’influenza del cinema italiano si riflette più nella ricerca di un’atmosfera unica e di un’immersione psicologica, piuttosto che in un’ispirazione esplicita da uno specifico regista o film.
Il film è stato accolto molto bene in numerosi festival, nazionali e internazionali, ricevendo diversi premi, tra cui il “Premio del pubblico” all’ultima edizione di EXTRA sci-fi festival Verona. Come avete vissuto la calorosa esperienza riservata al vostro primo lungometraggio?
FD e MB: Possiamo solo dire che è andato tutto oltre qualsiasi previsione. Amiamo partecipare ai festival, lo scambio e l’incontro con le persone è sempre molto stimolante. Alle proiezioni alle quali abbiamo assistito, l’accoglienza e l’entusiasmo sono sempre stati incredibili e dopo le proiezioni tante domande e curiosità. Se pensiamo che alcuni festival che avevano in programma film da qualche milione, hanno scelto di proiettare come film d’apertura The Complex Forms è fantastico. Ovviamente i premi del pubblico sono quelli che danno grande soddisfazione perché significa che le persone si sono sentite coinvolte e hanno ricevuto qualcosa dal film, è questo è davvero il premio più bello per noi!
Quali sono i prossimi progetti di Fabio D’Orta, di Mariangela Bombardieri e della casa di produzione Metronic?
FD: Sto attualmente lavorando sulla scrittura del prossimo film, e spero che possa vedere presto la luce. Mi piacerebbe davvero che fosse la Metronic Films a mettere in moto il progetto, magari in co-produzione.
MB: Io ho da poco concluso una bellissima esperienza di residenza a Casa degli Artisti di Milano. Ora sto lavorando a diversi progetti a cui tengo davvero moltissimo che spaziano dal suono vibrazionale, alla conservazione della memoria fino a gioielli tecnologici. Per quanto riguarda la Metronic Films continuerò a contribuire alla sua crescita con tutto quello che posso e spero che il prossimo passo sia la co-produzione del prossimo film di Fabio, al quale sta già lavorando.
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