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Irrequieti tentacoli al TOHorror Fantastic Film Fest

Pubblicato: 15/10/2025

A cura di A. Wilk ed E. Del Medico

Doveva essere una semplice e gioviale chiacchierata, in occasione della venticinquesima edizione del TOHorror Fantastic Film Fest (21-26 ottobre 2025) e per annunciare la partnership di EXTRA sci-fi festival Verona con la longeva kermesse torinese. Si è trasformato in qualcosa di molto interessante che avrebbe richiesto uno spazio ben maggiore, tanta la carne (sanguinolenta) al fuoco servita su un vassoio arrugginito da Matteo Pennacchia, direttore organizzativo del festival. Parlare di cinema, arte, festival, genere e illuminanti deviazioni sul tema con Matteo è stato un onore e un piacere. A lui il nostro più tenebroso ringraziamento.

 

Il TOHorror è nato nel 1999 con il “battesimo” di un padrino d’eccezione come Dario Argento. Ci racconti come vi è venuta l’idea di organizzare un festival dedicato al genere horror?

Va precisato che oggi nessuno dei fondatori originali fa parte dell’organico del festival, quindi tuttalpiù a noi si può chiedere come ci sia venuta l’idea di raccogliere e rilanciare il testimone. Da “erede” posso rispondere che il TOHorror nasce nel 1999 come rassegna rivolta ai cineasti underground italiani. Gli anni ’90 sono stati un difficile decennio di riassestamento nella storia del cinema horror: l’underground e il basso costo offrivano fuori dal mercato alternative tese a sradicare l’omologazione dominante, a prescindere dalle – e al di là delle – scarse risorse disponibili, pure a volte della “buona” riuscita dell’opera in sé. Concepire un festival militante dedicato a quell’horror nostrano che si esprimeva nell’ombra e nei garage significava dare spazio a giovani filmmakers arrembanti, alle istanze di un pubblico desideroso di occhi nuovi, alla costante necessità di ridiscutere (se non di abbattere) certi sistemi di pensiero e d’azione mainstream. La carne del TOHorror nel corso del tempo ha attraversato numerose mutazioni cronenberghiane, come è giusto che sia; non è più un evento legato soltanto alla produzione nazionale né soltanto all’horror in senso stretto, ma indole e intenti sono gli stessi e, citando i Negazione, lo spirito continua: dopo 25 anni, proviamo ancora a essere un festival tenacemente indipendente e conflittuale, con i film a mo’ di epicentro critico ed etico.

 

Matteo Pennacchia, direttore organizzativo del TOHorror Fantastic Film Fest

 

Torino, città in cui ha sede anche il Museo Nazionale del Cinema, vi ha sostenuto fin da subito? Ha contribuito alla crescita del festival?

Gli spettatori di Torino, senz’altro. L’anima sotterranea di Torino, con il suo imprinting laboratoriale e antagonista (e sempre un po’ rompicoglioni), anche. Torino nelle sue incarnazioni istituzionali… è un discorso complicato, come lo è in ogni sede in cui si discuta di sostegno istituzionale alla cultura (e alla cultura indipendente, un doppio carpiato). Da un lato non abbiamo mai cercato accreditamento “ufficiale”. Indipendenza artistica e autogestione sono la condizione irrinunciabile del TOHorror; compromessi, formalità e inchini non fanno per noi. Non averlo cercato e continuare a non cercarlo però non contraddice l’idea che Torino non assista come dovrebbe protagonisti essenziali del proprio patrimonio culturale, primi fra tutti i festival cinematografici indipendenti, che per il territorio costituiscono un valore inestimabile. Per noi è sempre più difficile e frustrante operare con risorse ridotte al minimo, senza garanzie di continuità – specie se invece l’affluenza e l’interesse catalizzati paradossalmente aumentano di edizione in edizione. Una città intelligente dovrebbe tutelare e sostenere non solo i soggetti culturali sui quali può esercitare una qualche forma di controllo, bensì tutti i soggetti liberi che dimostrano di essere un valore per la comunità. In tal senso Torino non è una città intelligente, malgrado sia conosciuta come, e faccia vanto di essere, la città del cinema. Non vorremmo che il TOHorror si svolgesse da nessun’altra parte al mondo, ma no, (una certa sfera di) Torino non ci sostiene a dovere.

 

In due parole, riusciresti a descrivere il pubblico del TOHorror? È composto principalmente da appassionati, curiosi, torinesi…?

Al termine delle ultime due edizioni del TOHorror, che hanno totalizzato circa 4.000 ingressi ciascuna, abbiamo proposto sondaggi anonimi per raccogliere informazioni sul gradimento e sulla composizione del pubblico. Lo spettro anagrafico più coinvolto risulta quello dai 18 ai 35 anni, ossia quegli strani esseri mitologici di cui narrano le cronache anche noti come “i giovani”. Poco più della metà degli spettatori è torinese o piemontese, mentre di recente è aumentata parecchio la partecipazione da altre regioni d’Italia. Fasce sociali diverse, studenti e lavoratori, specifici appassionati del genere e generici appassionati cinefili… Al netto di alcune conclusioni ben definibili, il succo è che non abbiamo un pubblico ma tanti che si sommano assieme, e a me non suona male. L’eterogeneità con la quale cerchiamo di costruire la lineup del festival, che può essere motivo di un’affluenza analogamente eterogenea, non fa rima con mancanza di ricerca o criterio nel lavoro di programmazione (non è pesca a strascico, insomma), né esplica una volontà da parte nostra di accontentare le aspettative di ogni palato, cosa di cui ci frega il giusto, cioè nulla. Questa trasversalità può testimoniare, nel suo piccolo, di come l’horror e il fantastico siano (ancora) oggi creature vive e vitali, mobilissime, irrequiete, capaci di arrivare ovunque con i loro tentacoli.

 

 

In Italia l’horror viene spesso considerato un genere di nicchia. Condividete questa visione? O pensate che esista una vera e propria cultura cinematografica horror italiana, con un suo seguito fedele?

Entrambe le cose, dualisticamente. Siamo un paese in cui l’horror è (stato?) anche fenomeno di costume, con le sue inclinazioni (il gotico…), i suoi registi-totem (scontato dire quali…), i suoi inattesi exploit popolari (Dylan Dog…). Una diffusa cultura cinematografica horror ha attecchito e resiste. Se vertiamo sui numeri, non importa essere nicchia o massa (ma dubito che l’horror rappresenti una nicchia commerciale tanto trascurabile), importa che il genere non venga confinato in una nicchia a priori. Cioè, sarebbe auspicabile che nel 2025 l’horror non fosse più discriminato. Non che piacesse a tutti, ma che non lo si categorizzasse in un preventivo stato di inferiorità o indegnità tranne quando ritenuto d’essai, o peggio, “non-horror”. Temo avvenga ancora. Per dire: nei giorni in cui rispondo a questa intervista il buon Weapons di Zach Cregger è da poco uscito in sala, e online mi sono imbattuto in almeno quattro recensioni celebrative secondo le quali il punto di forza del film risiede nel fatto che, cito, “non è semplicemente un film horror, ma un’opera coraggiosa e ben costruita”, oppure “è molto più di un film horror” o “va oltre l’horror”. Capito il concetto? È un esempio microscopico, ma tradisce la persistenza di uno snobismo più o meno latente persino in ambienti cinefili e critici (sia amatoriali sia professionali) in cui sarebbe assurdo rilevarlo. E invece. La diffusione del termine elevated horror – una delle etichette più stupide mai coniate – non aiuta, non fa che nobilitare una presunta élite, gerarchizzare un genere che di gerarchie non ne vuole sapere.

 

TOHorror si presenta come “Festival Internazionale di Cinema e Cultura del Fantastico”. Cosa intendete esattamente con “cultura del fantastico”?

Credo sia difficile da dire “esattamente”, e non lo considero un fatto negativo. Nell’angolazione personale e magari eretica che adottiamo al festival, la cultura del fantastico non è vincolata all’elemento soprannaturale (o alieno/futuristico in seno alla sci-fi: del resto è ormai usanza critica catalogare la distopia non più alla S di Speculative fiction ma alla R di Realismo). In astratto, il fantastico sta nell’inquietudine sovversiva o nello sgomento suscitati da caratteri di implausibilità, di interruzione dell’ordine pianificato, che ogni tanto si presentano anche nella realtà, non solo nel regno (e con i codici) del soprannaturale. È una suggestione, più che un dato. È il reale che si disfa del conforme. Perciò da selezionatori, pur interrogandoci spesso sull’attinenza dei film che valutiamo, se hanno certi connotati non esitiamo ad affiancare a opere fantasy, sci-fi e horror (e in quanti horror il soprannaturale non interviene?) anche la commedia nera, il grottesco, il thriller… Così vale tutto? No, perché come sempre non conta solo ciò che accade nel merito narrativo, c’entrano – eccome – anche le soluzioni formali, le scelte linguistiche, i modi in cui è impiegata la grammatica filmica, i segni e le reti simboliche, gli immaginari di riferimento… La cultura del fantastico è porosa, permeabile, ne assorbe in sé molte altre e si (ri)genera in innumerevoli traiettorie che al TOHorror finora abbiamo provato a intersecare. Il cinema, specie l’horror, rimane poi la nostra dominante ma off screen abbiamo esplorato il fumetto, la letteratura, la musica, il sideshow, il teatro, l’arte contemporanea, il videogame… Una volta abbiamo avuto sul palco un anatomopatologo. E per strada, fuori dalla sala, un freak che si piantava chiodi nel naso.

 

Ogni anno il festival propone una locandina diversa realizzata da un differente artista. C’è un tema preciso che suggerite a chi dovrà produrla o un processo creativo particolare dietro la sua realizzazione? E per l’edizione 2025?

È tradizione che ogni edizione del TOHorror sia caratterizzata da un argomento che proviamo ad approfondire con mini-retrospettive o incontri tematici. La locandina segue il focus di turno, e indicazione tematica a parte lasciamo totale liberà d’esecuzione. Quest’anno il focus pizzicherà corde molto sci-fi: il protagonista sarà il viaggio nel tempo, in differenti chiavi interpretative. Loop, paradossi, ucronie, linee deviate, quesiti esistenziali… Per festeggiare la 25esima edizione, cioè anzitutto un’importante ricorrenza temporale, era la materia giusta. Arrivare qui sani e salvi dal 1999 è stato davvero un avventuroso viaggio nel tempo alla Wells. La locandina stavolta è tutta in famiglia: l’ha curata Tony Kelvin, alias Pixatonic Design, nostro grafico da secoli. Il suo wormhole ci porterà dritti alla serata d’apertura del 21 ottobre 2025.

 

Qual è stato, finora, il tuo momento preferito nella tua lunga esperienza con TOHorror?

Non è un momento isolato – anzi, comincia con un momento isolato che poi investe un’intera edizione, quella del 2022. Il primo anno senza residui pandemici… Affrontammo i preparativi di quell’edizione con profonde incognite: come avrebbe influito sugli spettatori, sull’aggregazione in generale e in particolare quella connessa al cinema, quanto era accaduto negli ultimi due anni? Ansie comuni a tutti i festival e a tutti gli esercenti, in quel frangente (ma anche adesso non mi pare proprio una faccenda risolta). Avevamo invitato a Torino Dave McKean, proponendogli di essere l’ospite d’onore. Eravamo convinti che avrebbe cestinato la nostra email senza passare dal via. Quando ci rispose subito di sì fu come se tanti nodi si sciogliessero contemporaneamente. Quella prima risposta laconica (“Would love to” e basta), poi l’intera edizione 2022, per inciso andata a meraviglia, sono sul podio dei miei momenti preferiti. Forse momenti emotivi ancor prima che professionali, ma dalle parti del TOHorror sono due aspetti che convivono sempre, nel bene e nel male.

 

E il peggiore?

Direi l’annullamento dell’edizione 2020. Il festival era in forte rilancio, dopo gli ottimi riscontri delle due edizioni precedenti. Cominciammo a lavorare, poi piombò giù il Covid… Durante il primo lockdown, nell’esaurimento nervoso collettivo in atto, mentre il mondo dei festival cinematografici (grandi e piccoli) attorno a noi decideva legittimamente di prevedere edizioni online ad libitum, noi prendemmo la decisione kamikaze di organizzare la nostra 20esima tutta solo in presenza. In sala. Non ci fu mai discussione. Preparammo tutto. Investimmo tutto il poco che avevamo. Il lockdown cessò a fine primavera. L’estate trascorse in semi-normalità. A inizio autunno il festival era pronto. Ne annunciammo il programma. La curva dei contagi ricominciò a salire a settembre. Il governo introdusse il coprifuoco un paio di settimane prima dell’inaugurazione del festival. Rimodulammo al volo gli orari delle proiezioni per rientrare nei limiti del coprifuoco. Funzionava tutto ugualmente. Eravamo pronti. Tre giorni prima dell’inaugurazione (tre giorni prima) il governo ordinò la serrata dei cinema, dei luoghi della cultura e dell’intrattenimento. In quegli attimi, nel cuore di quella situazione già merdosa di suo, mi sembrò davvero tutto finito, non solo l’edizione 2020 ma proprio l’esistenza del festival, e forse di quella nozione stessa di “festival” – o addirittura di “cinema” – che mi pareva cruciale e per la quale con il TOHorror ci spendevamo, pur nel nostro modestissimo raggio d’azione. Un trauma.

 

Hai un film horror del 2025 che ti ha colpito in modo particolare? Se sì, quale e perché?

Oltre ai film che abbiamo messo in programma, se andiamo su titoli extra-festival che hanno trovato (o troveranno entro fine anno) sbocco distributivo in Italia: The Ugly Stepsister di Emilie Blichfeldt (in programma al prossimo Trieste Science+Fiction Festival, NdR). Perché è un horror pienamente odierno senza le prassi e le furberie alle quali spesso cede l’horror (che ambirebbe a essere) odierno.

 

 

E invece, quali sono i tuoi cult horror? E cosa li rende speciali per te?

Niente di esotico: From Beyond di Gordon, La Casa di Raimi, Il seme della follia di Carpenter, Bad Taste di Jackson, a giorni alterni Brain Damage di Henenlotter. Speciali banalmente perché sono stati i primi visti, mi hanno sconvolto e poi svezzato, educato al genere, spalancato le porte su tutto il resto. Sono stati la mia scena primaria (insieme a X-Files spiato di nascosto dal corridoio a sei anni mentre lo guardavano i miei genitori).

 

Come sai, noi trattiamo nel nostro festival il genere “cugino”: cosa ne pensi della fantascienza?

Ogni bene possibile, e non lo definirei cugino. L’horror, il thriller e la fantascienza sono più che imparentati, sono amanti. È un’orgia. Rimangono i generi che al loro meglio, volenti o nolenti, riescono più abilmente a fottere le retoriche del presente, incluso il presente del cinema, del consum(ism)o visivo. A manometterne le abitudini, la letteralità, l’accettabilità. L’evoluzione tecnologica (e l’involuzione cognitiva…) con cui conviviamo fa sì che oggi la fantascienza stringa una relazione immediata con i suoi, e i nostri, giorni. Che li abiti. Il che se da un lato la espone a un rischio di inconsapevole complicità ideologica (vedi Bandersnatch e gli ultimi Black Mirror), dall’altro potenzialmente la rende un osservatorio privilegiato, se non addirittura un “infiltrato”. Credo poi di essere d’accordo con chi dice che da un po’ la sci-fi abbia smesso di immaginare il futuro. Ed è sintomatico che il genere deputato a insistere (anche) sul futuro non possa o non voglia più farlo, o che quando lo faccia non sia sotto forma di ipotesi ma in prevalenza di amplificazione della modernità e dei suoi parametri. Denuncia l’ingombranza di un’attualità marchiata a fuoco da un pessimismo se non da fine del mondo, senz’altro da fine delle alternative.

 

Sappiamo quanto sia difficile organizzare un festival indipendente di cinema. Qual è la sfida più grande nell’organizzarne uno come il vostro? E cosa rende tutto questo sforzo degno di essere vissuto?

Tralasciando problemi economici concreti, la sfida portante forse è tanto introspettiva quanto “epocale”. Sta nel misurarsi 24/7 con la posizione che il cinema (sia come mercato sia come arte) e i festival cinematografici ricoprono all’interno dell’impianto sociale e mediale degli anni in cui viviamo. Con il loro peso, la loro agentività e le loro crisi. Nessuno di noi sta salvando il mondo, e lo sappiamo, ma abbiamo comunque delle responsabilità pubbliche rispetto a idee e discussioni che intendiamo mettere alla prova attraverso il cinema che mostriamo e il modus operandi con il quale giungiamo a mostrarlo. La sfida è non dare mai tregua a queste responsabilità. Non vuol dire adattarsi, o “stare al passo”, che sono cazzate, ma interrogarsi ogni minuto con – appunto – responsabilità e cognizione di causa circa dove e come situarsi in un paesaggio complicatissimo. Cosa rende questo sforzo degno di essere vissuto? La fama e il potere che ne derivano, ovviamente.

 

Ci sono progetti o idee che sognate di realizzare ma che, per ora, sono rimasti nel cassetto?

Ogni componente della squadra darebbe risposte diverse, e ognuno avrebbe ragione. Io se posso do una doppia risposta. Strutturale: il sogno bagnato nel cassetto è procurare stabilità e sostenibilità al festival, far sì di non avere più il timore che ogni edizione possa essere l’ultima. Progettuale: portare con il TOHorror il fantastico e l’orrore nelle scuole (medie e superiori) sarebbe bellissimo. Sull’educazione all’immagine, e per quanto mi riguarda sul ruolo che in essa il cinema di genere potrebbe svolgere, si dibatte e ci si attiva sempre troppo poco.

 

Puoi darci qualche anticipazione sul programma di quest’anno? Cosa dobbiamo aspettarci?

Del focus abbiamo già detto: è in cartellone una breve retrospettiva non-esaustiva di sei titoli che ci porteranno in viaggio nel tempo con loro (su tutti: lo “scult” Southland Tales di Richard Kelly, per me tra i film più significativi degli anni 2000). Poi una sezione Freakshow – la nostra sezione bizzarra, estrema e borderline – assai rigogliosa: segno dei nostri giorni irrimediabilmente bizzarri, estremi e borderline? Il concorso lungometraggi sarà invece, come ogni anno, il nostro tentativo di mappare la stagione e cavarne ciò che (ci) sembra distinguersi: latinos-futurismo col coltello fra i denti, malinconia da vampiri esistenzialisti, uno sleazy thriller sudaticcio, un cartoon macabro-erotico in rotoscope, e molto altro… anche una disarmante romcom horror. Fuori concorso campeggiano omaggi ad amori che non muoiono (Lynch), anime giapponesi post-tutto (Hello Kitty incontra William Gibson), documentari di commovente rivendicazione eversiva (la Troma vs Cannes), dichiarazioni politiche affermate tramite il cazzeggio (Deathstalker di Steven Kostanski)… E poi, una valanga di cortometraggi, talk informali con autori, scrittori e saggisti, concerti punk, DJ set, un bel po’ di ore di sonno da recuperare, sicuramente qualche intoppo, abuso di ibuprofene. Questo è ciò che dobbiamo aspettarci.

 

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