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Sconfinati Mondi Alieni. Intervista a Roberto Bonadimani

Pubblicato: 31/01/2025

A cura di A. Wilk ed E. Del Medico

Veronese, classe 1945, artista, artigiano, autodidatta, autore di fantascienza. Roberto Bonadimani è tra i pochi fumettisti italiani ad aver dedicato l’intera sua produzione (libri, racconti, illustrazioni per riviste) alla fantascienza e al fantasy. Le sue storie mescolano in un tutt’uno elementi onirici, surreali e barocchi. Fra i cultori di comics Bonadimani è molto apprezzato e ha ottenuto numerosi riconoscimenti, come quello alla carriera nel 1998 a Lucca Comics. Abbiamo avuto il piacere di intervistarlo a casa sua, tra fantascientifici cimeli e invidiabili raccolte di libri, riviste e dvd, in occasione della prossima sua mostra personale “Cosmopoietica. I mondi di Roberto Bonadimani” che inaugurerà nella Protomoteca della Biblioteca Civica (via Cappello 43) venerdì 14 marzo 2025, evento all’interno della quarta edizione di EXTRA sci-fi festival Verona.

Un ringraziamento a Claudio Gallo e Riccardo Pagliarini, curatori della mostra.

 

Partiamo subito con una domanda diretta, senza preamboli: Roberto, quando, come e perché hai iniziato a disegnare? 

Sono una persona molto riservata, nel senso che fin da piccolo non avevo tante amicizie. Amavo moltissimo andare al cinema, leggere fumetti e libri. Per cui ho sviluppato tutto un mio mondo interiore, fantastico. A forza di leggere romanzi e vedere film, a un certo punto sono arrivato a crearmi… dei finali alternativi rispetto a quelli che trovavo. Era insomma una mia fantasia che poi credo mi sia servita per arrivare a realizzare le prime sceneggiature.
Perché scrivo e disegno storie di fantascienza? Perché volevo raccontare storie.
Ma soprattutto perché non sapevo disegnare cavalli… altrimenti avrei fatto storie western.

Hai quindi cominciato molto presto a disegnare?

Sì, da bambino. A dieci anni, forse anche prima.

Come ti sei avvicinato alla fantascienza? 

Ci sono arrivato lentamente. Il film che probabilmente mi ha fatto scoprire la voglia di disegnare e raccontare tramite la fantascienza è stato “Il pianeta proibito” (Forbidden Planet, 1956). Prima di vederlo avevo letto il romanzo. Non avevo soldi per andare al cinema e allora ho chiesto a mio papà di comprarmi il libro, era un Urania. Lui lavorava alle officine grafiche Mondadori, come avrei poi fatto io, non so se effettivamente me l’ha comprato o se l’ha trafugato… Uno dei primi romanzi di fantascienza che ho letto, è stato amore a prima vista! Il film, poi, una delle più belle pellicole di genere.

Quali sono stati i tuoi primi lavori pubblicati?

Quelli per “Cosmo informatore” (una rivista stampata da Editrice Nord dal 1971 al 1982 che veniva spedita a quanti ne facessero richiesta per tenere informati gli appassionati di fantascienza con le novità della casa editrice, curiosità, racconti brevi e fumetti).
Compravo i titoli della Editrice Nord, erano libri piuttosto “evoluti” rispetto alla collana Urania.
E un giorno mi sono fatto prendere dal desiderio di conoscere l’editore. Mi sono portato dietro anche i miei racconti già disegnati e inchiostrati. Non avevo nessuna idea in mente, volevo solo andare da lui e dirgli: guarda, sono talmente appassionato di fantascienza che ho fatto queste storie. Lui le ha guardate e ha detto: le metto su “Cosmo Informatore”. Ero al settimo cielo… non so se per curiosità o per divertimento o perché ci ha visto qualcosa, fatto sta che l’editore le ha veramente pubblicate.
Dopo circa un anno che le mie tavole uscivano mensilmente mi ha detto: facciamo un libro.

E quando è uscito?

Nel 1977, si intitolava “Cittadini dello spazio”.

Quali sono gli ingredienti principali per un buon fumetto di fantascienza?

Avere un soggetto che sia possibilmente originale, questo direi che è fondamentale.
Prima di buttar giù qualsiasi cosa scritta cerco di immaginarmi la storia, lunga o corta che sia, costruendola nella mente. Quando credo di aver combinato abbastanza la storia, comincio a scriverla. Scriverla vuol dire anche rifarla due o tre volte perché a forza di correggere, di aggiungere, di togliere, ci si impiega abbastanza tempo. Forse più di quanto non ci si metta ad averla immaginata.
Dopodiché in teoria avrei pronto tutto quanto per cominciare a disegnare. Le illustrazioni ovviamente prima vengono fatte a matita e poi inchiostrate.
È successo che la storia sia stata addirittura modificata in corso d’opera perché magari nel preparare la sceneggiatura non ho immaginato i disegni, e se i disegni vengono fuori in maniera particolare, con nuovi elementi aggiunti, potrei avere la necessità di cambiare la storia.
E siccome io sono depositario dell’idea, della sceneggiatura e dei disegni… mi arrogo il diritto di cambiare quello che più mi aggrada!

Hai sempre scritto tutte le tue sceneggiature?

A parte un paio di cose realizzate per un amico di Milano, tutto il resto è farina del mio sacco.

Quali autori sono stati per te fonte di ispirazione?

Alex Raymond, autore di Flash Gordon, è stato sicuramente un’ispirazione… forse ancor prima di lui Dan Barry, altro disegnatore di Flash Gordon.
Mi piacevano anche i personaggi di “Avventure di domani!” (quindicinale a fumetti uscito dal 1957 per 50 numeri), tra tutti quello di Rick Random, anche se spesso non venivano riportati i nomi degli autori. Questa rivista mi piaceva particolarmente perché forse si avvicinava molto più di tante altre a quello che io pensavo sarebbe dovuto essere il fumetto di fantascienza, con un occhio di riguardo nell’immaginare il futuro tecnologico.
A livello italiano il più grande illustratore di fantascienza secondo me è stato Kurt Caesar, il primo copertinista di “Urania”. Non inventava nulla, ma fondeva vari elementi e ispirazioni creando così comunque qualcosa di originale. Tra gli artisti al lavoro sulla medesima collana ho conosciuto anche Karel Thole, che ho stimato molto. Si definiva “il più grande illustratore cieco”, perché stava perdendo la vista.

 

Invece a proposito dei romanzi? C’è uno scrittore o scrittrice che ami in particolare?

Direi di no. Diciamo così, i primi cento romanzi di Urania sono quelli che mi hanno ispirato, che mi hanno fatto venire la voglia di espandere le mie idee, di inventare storie.
Romanzi che narrano di alieni, di astronavi, di tecnologia… E pensa il paradosso: nonostante odi la tecnologia, sono diventato un autore di fantascienza.

I tuoi paesaggi sono davvero molto accurati, quasi maniacali nella realizzazione. Che ruolo hanno nel contesto narrativo?

Beh, sono fondamentali. Perché se non ci fossero i paesaggi forse non ci sarebbero le mie storie. Diciamo un’altra cosa: io faccio fatica a disegnare i corpi umani. Allora nelle mie storie cerco di distrarre l’attenzione dai corpi facendo un sacco di illustrazioni “a lato”.
Quello forse è il trucco che uso io per arricchire le mie immagini.
Se si tratta di un ambiente vegetale alieno, non copio foglie, alberi o piante, magari mi ispiro al reale ma è tutto frutto della mia mente.

Puoi descrivere un po’ il tuo processo creativo?

È più istintivo che pensato. Prima scrivo la sceneggiatura, poi realizzo dei bozzetti a matita. Ultimamente li facevo su delle veline che mi permettevano di non star lì a cancellare, a far correzioni… dalla prima velina mettevo sopra un’altra velina e ricalcavo correggendo i vari errori. Se mi andava bene la seconda era buona, altrimenti arrivavo a fare otto, nove veline, una sopra l’altra fino a quando non arrivavo a quella che ritenevo fosse la migliore in assoluto. Mettevo poi la velina dietro il foglio da disegno, che in generale è di 110 grammi, per cui quasi trasparente, sistemavo il tutto su un vetro, con sotto la fonte luminosa, e ricalcavo quello che ritenevo fosse la parte finale del processo creativo.
Inizialmente cerco di creare un’immagine completa del contesto in cui si svolge la storia.
Cerco di non esagerare nelle illustrazioni dei primi piani. Magari evito orpelli, evito sfondi che possono rendere difficoltosa l’immagine. Dopodiché faccio sempre queste grandi immagini, grandi tavole perché voglio far vedere bene dove si svolge l’avventura.

Tutto quindi realizzato rigorosamente a mano… non hai mai provato a utilizzare supporti digitali?

No, perché non sono tanto io contrario al computer, quanto lui a me!
Per le parti tecnologiche nelle mie illustrazioni utilizzo delle squadre di plastica.

Sei sempre stato autodidatta, non hai mai frequentato dei corsi o una scuola?

Ho lavorato fino alla pensione metà giornata alle Mondadori, per l’altra metà disegnavo. A Verona all’epoca non c’erano corsi. Ho frequentato solo un anno di scuola d’arte all’Accademia Cignaroli, ma non ho imparato molto… Ho imparato di più copiando.
Quello che dico a tanti che mi chiedono come si fa a imparare a disegnare: copiare, copiare e copiare. Fino a quando arrivi a un punto in cui tu sei migliore della copia che hai copiato. E vedrai anche che nel frattempo ti sei creato un tuo stile.

A quale lavoro sei più affezionato?

Per la difficoltà nel realizzarlo “Incubo. Hynn-phaer” (Dada Editore, 2008). Dieci anni per terminarlo. Tre o quattro volte ho cominciato delle storie, soprattutto fantasy, che poi abbandonavo per dedicarmi a qualcosa di più stimolante… alla fine le ho riprese ma dopo trenta o anche quarant’anni.

In quarant’anni il tuo stile sarà sicuramente un po’ cambiato, però…

Sì, ma io sono furbo. Disegno una prefazione e una postfazione col tratto attuale e giustifico a livello narrativo la differenza di stile con l’espediente di un personaggio che racconta del suo passato, che è disegnato in maniera diversa… Con questa formula riesco a portare avanti progetti abbandonati perché avevo perso l’entusiasmo, successivamente ritrovato.

Leggi ancora fumetti? C’è qualcosa che ti piace oggi tra le nuove produzioni?

No, ho un po’ lasciato perdere. Anche di romanzi non ne leggo quasi più.
Forse perché sono un po’ stanco, non è più il mio tempo. Negli anni ’50 e ’60 seguivo meglio le storie, adesso la tecnologia si è evoluta troppo, e io non riesco più a starle al passo…

È una tua precisa scelta l’autoproduzione adesso dei tuoi lavori?

È un obbligo. Se impiego dieci anni per ultimare un lavoro è difficile trovare un editore così paziente… Allora l’unica idea che mi è venuta è di pubblicare grazie all’amico Luca Pozza che pensa al processo di impaginazione e di stampa. Faccio 50 copie, le distribuisco ai miei parenti e quelle che mi avanzano cerco di venderle, almeno per recuperare un po’ le spese.

William Gibson un giorno ha detto che nel XX secolo parlavano sempre del XXI secolo, ma oggi quanto si sente parlare del XXII secolo? Secondo te la fantascienza ha ancora un futuro?

Sì, perché comunque la fantascienza cerca di prevedere in qualche modo il futuro.
Io sono appassionato di cinema, se ci pensate i film western sono tutti uguali. È la bravura del regista e degli interpreti a renderli opere uniche. La fantascienza più o meno è la stessa cosa: a volte i soggetti sono molto simili, ma dipende dall’autore dire qualcosa da un’angolazione differente, dargli un’altra forma.

Quale consiglio daresti a un giovane autore di fumetti?

Di non farli! Sto scherzando, ma fino a un certo punto, perché almeno per quel che riguarda la mia esperienza è stato parecchio difficile. Ho cominciato da zero, ho imparato le cose pian pianino.

Attualmente stai lavorando a qualche cosa di nuovo?

Ho terminato un racconto fantasy iniziato appunto quarant’anni fa, dal titolo “Le due vite di Jadah”.

Visto che organizziamo un festival di cinema sci-fi, la domanda è d’obbligo: se tu dovessi scegliere un solo film di fantascienza?

Ardua scelta. Direi probabilmente Blade Runner.

La mostra, Cosmopoietica: I mondi di Roberto Bonadimani sarà alla Biblioteca Civica di Verona, dal 14 marzo al 5 aprile. Cliccate qui per ulteriori informazioni.

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